19 aprile 2010

La Tribù dello scatto fisso


Dopo tante cose scritte sempre in maniera abbastanza vaga, finalmente un articolo fatto abbastanza bene sulle bici che non frenano!
Via Avvenire il giornale di Papa Razzinger.

 COSTUME Senza cambio, senza freni, con le gambe in continuo movimento: sono i cultori delle due ruote più essenziali, un po’ retrò un po’ design all’ultimo grido, che della loro pedalata domenicale hanno fatto una liturgia estetica Con una punta di maniacalità
 Bici

 La tribù dello scatto fisso


 di
Massimo Calvi
È
anche una moda, una passione puramente estetica, una ciclo-mania metropolitana. Ma per gli amanti del genere è molto di più, è il vero senso del movimento su due ruote, l’unica possibilità, un ritorno alle origini. Perché è su una bicicletta così, a 'scatto fisso' si dice in gergo, che l’umanità ha incominciato a pedalare. Crescono, movimento in espansione, un flusso urbano che fa tendenza. Biciclette leggere, pure, essenziali, normali solo in apparenza. In realtà cicli privati dell’evoluzione tecnica della 'ruota libera': la trasmissione è diretta, i pedali girano sempre, non si possono far riposare le gambe se la bici avanza. Come sui tricicli dei bambini. Un viaggio nel tempo che ha le sue leggi. Non ci sono cambi, non ci sono cavi e non ci sono freni. Ci si arresta solo fermando le gambe, se e quando si riesce, invertendo la pedalata. Servono doti, muscoli, tendini. E un pizzico di follia. Nell’era moderna queste bici nascono per dare il meglio di sé nelle competizioni in pista, sui parquet dei velodromi, gloria e storia del ciclismo. Usate anche come allenamento invernale dai professionisti per migliorare la pedalata, renderla più armoniosa, fluida, rotonda, efficiente. Oggi le biciclette a scatto fisso corrono sempre di più fuori dai recinti protetti delle piste, lanciate ad affrontare il traffico delle metropoli. Un non senso, considerati i rischi della pedalata senza freni. Forse una provocazione, che merita di essere capita. Tutto sembra essere incominciato a Tokyo negli anni ’80, anche se i
bike messenger (corrieri in bicicletta) di New York e Boston rivendicano la paternità della riscoperta. Recuperati vecchi telai dal fascino retrò, ripuliti dal superfluo, ecco nascere cicli essenziali, semplici, spesso oggetti unici perché personalizzati. Opere d’arte, vere e proprie sfide al concetto di spostamento in automobile. In Italia sono Roma, Milano, Torino, Bologna, Verona i centri di quello che ha tutte le carte per presentarsi come una variante sportiva di culto pagano. La religione della pedalata continua. Da meditare le parole di Paolo Bellino, un artista nel ridare vita a resti di cicli abbandonati.
  Nel blog
Movimentofisso descrive così il significato della conversione: «Un movimento che è quasi una preghiera: fluido e continuo, innesca una respirazione tipica della meditazione. Una sorta di mantra che scaturisce naturale. Galleggi sul terreno in uno stato mentale che è contemporaneamente di distacco dalla realtà e assoluto contatto con la realtà. La distrazione semplicemente non è ammessa».
  Logica la lezione: «Non iscrivetevi a un corso di yoga: prendete la bici». Pratica da fissati, per pochi, ma convinti. Gli adepti dello scatto fisso si riconoscono dalla pedalata armoniosa, si scambiano segreti e consigli sul web, si trovano anche di notte per giocare a
bike polo in piazzali e parcheggi vuoti, hanno riti e miti come ogni tribù metropolitana che si rispetti. Poche e semplici le regole, nella ricerca della bici assoluta. Il dogma del rapporto singolo è una solida base di monoteismo. Gli integralisti non contemplano la mediazione dei freni (violando il codice della strada), i più tolleranti e sani ne montano almeno uno davanti. I fanatici della purezza non sopportano i mozzi flip- flop , che permettono di tradire l’idea dello scatto fisso con un solo gesto. Su una cosa tutti sono d’accordo nel non fare concessioni alla mediocrità: i forcellini – la parte del telaio dove si appoggia la ruota posteriore – devono essere orizzontali, per poter regolare la catena con semplicità. Quelli verticali rappresentano l’inizio della corruzione introdotta dal cambio, il peccato originale, la schiavitù del tendicatena. Da tempo il marketing e la moda hanno fiutato l’aria. Le fisse, per l’essenzialità delle forme, compaiono negli allestimenti di design e tutti i principali produttori di cicli hanno ormai in catalogo una fixed (a scatto fisso), un modello retrò da pista, o quantomeno una
 single speed ,
bici con un solo rapporto e spesso freno a contropedale. Ma il fascino e il significato più profondo dello scatto fisso richiedono almeno un passaggio artigianale.
  La bici perfetta va montata da soli, partendo
dal telaio – meglio se un pezzo di nostalgia famigliare – e scegliendo un componente dopo l’altro. Ci sono guide per tutti, luoghi per imparare condividendo il sapere e gli strumenti, come le ciclofficine popolari, che spuntano un po’ ovunque nelle grandi città.
  Uno dei blogger più consultati in rete, Aldone di
Bicifissa, dispensa consigli preziosissimi, dal rapporto ideale pignone-corona alla giusta lunghezza della pedivella, fino alle tecniche di guida e frenata. «La fissa, nulla che non sia strettamente necessario – spiega –. A differenza di tutte le altre categorie di bicicletta la potete montare come vi pare. Mischiare i generi può portare a risultati entusiasmati, basta avere voglia di giocare e sporcarsi le mani di grasso». Rischio e libertà, insomma. Ma anche una spasmodica ricerca di purezza, di semplicità, desiderio ludico di cose semplici. Estetica della sobrietà. E forse non è un caso che il boom delle biciclette a scatto fisso esploda in una stagione di crisi, economica e non solo. Enrico, studente torinese, ha intitolato il suo blog Gear is for losers , «il cambio è per i perdenti». Già. A che cosa servono 21 velocità se con la bici al massimo si va al parco o ai giardinetti? Volendo, c’è un’etica della responsabilità in una bici fissa: mantieni un solo rapporto, pedala alla velocità che puoi permetterti, non dare nulla per scontato, guarda lontano. Una filosofia.
Uno stile di vita. Anche una lezione di economia. 
Tutto deve essere semplice e lineare, nella ricerca del velocipede «assoluto»: un solo rapporto, niente fili, il mezzo va montato da soli, partendo dal telaio – meglio se un pezzo di nostalgia famigliare – e scegliendo i componenti uno a uno. E cercando gli amatori online

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Solo una bizzarra moda lanciata sul mercato, alla quale noi pecore ci adattiamo sempre.
Avevamo la TV quadrata ce l'hanno fatta comprare rettangolare.
Avevamo la mountain bike con ruote da 26, ce l'hanno fatta ricomprare con quella da 29".
Avevamo la bici da città, ci han fatto comprare la singlespeed.
Abbiamo ricomprato cose che avevamo già.
Come sempre.

RoBbEn ha detto...

Quanta saggezza man.
ti stimo.

Anonimo ha detto...

Avevamo le bici a scatto fisso, ce le hanno fatte ricomprare con la ruota libera.
Avevamo le bici con la ruota libera, ce le hanno fatte ricomprare con 1000 rapporti.
Avevamo il pozzo in giardino, ci hanno fatto pagare l'acqua corrente.
Avevamo l'illuminazione a candele, ci hanno fatto comprare le lampadine.
Avevamo le caverne, ci hanno fatto comprare le case.
Avevamo voglia di polemizzare, e contestare tutto ciò che è diverso da noi, e questo, per molti pirla rimane gratis.

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